Femminismi Futuri: perché leggerlo
Femminismi Futuri1 è una raccolta di saggi di dodici studiose, pubblicata da Iacobelli Editore, nel dicembre del 2019, curata da Lidia Curti con Marina Vitale e Antonia Anna Ferrante.
- A. Premessa
- B. La genesi e i retroscena
- C. Contenuti e intrecci
- D. Note e sitografia
Femminismi Futuri è una raccolta di saggi scritti da donne che scrivono di donne.
Il titolo è presagio dell’ardimento dell’opera: i vocaboli "femminismo e futuro" possono scoraggiare più d’una lettrice/tore o scrittrice/tore motivati. Inoltre la quarta di
copertina mitiga poco la sensazione iniziale, con le due parole che aleggiano qua
e là come angeli vendicatori.
In effetti, sul titolo c’è stata qualche perplessità anche da parte della
curatrice ma, alla fine, è prevalsa una linea coraggiosa e dichiarata.
Invece la seconda parte del titolo “Teorie/Poetiche/Fabulazioni” è una promessa
che viene mantenuta, poiché gli argomenti riguardano sì il futuro ma dal punto
di vista della ragionevolezza in quanto i temi trattati sono globali e
universali e, certamente, dovrebbero essere presi in carico da tutti i generi
umani.
Cosa aggiungere alle esaustive trattazioni? Forse un aspetto
più empatico, emotivo, raccontato dalla curatrice Lidia Curti durante una piacevole
chiacchierata telefonica.
La Professoressa Curti rispondendo, alla domanda, mi ha svelato i retroscena inediti di una genesi affatto scontata e, per certi versi, un po’ tribolata.
Tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, un affollato gruppo di lettura e di ricerca nell’ambito del Centro di studi postcoloniali e di genere dell’Università Orientale di Napoli, coordinato da Curti, analizza opere del più recente femminismo, dal cyber e xeno-femminismo all’ultima visione ecologista di Donna Haraway, dai cui testi e suggestioni attingono a piene mani. L’analisi riguarda anche romanzi fantastici e di fantascienza speculativa femminile: Angela Carter, Joanna Russ, Ursula K. Le Guin, Octavia Butler, Nnedi Okorafor, e altre narratrici prevalentemente anglosassoni ma anche di diverse parti del mondo, Italia compresa6.
Un primo progresso era stato documentato in un articolo della rivista -Leggendaria. Libri, letture- e linguaggi intitolato “Pensare il futuro”7.
Questo gruppo, eterogeneo per interessi e ambiti di
ricerca, subisce una prima scrematura perché, cita Curti, “la fantascienza le
ha respinte, o meglio, non la volevano leggere.”
Le poche rimaste scelgono di
addentrarsi ancor più nella SF, sia perché Donna Haraway la maneggia con
passione sia perché nessuno che ha disquisito su “Chthulucene”8 ha enfatizzato questo aspetto notato invece dalla
squadra di Curti.
Gli incontri quindicinali, sebbene coinvolgenti per le
letture proposte dalla Professoressa Curti, sono problematici per ostacoli
oggettivi, riconducibili alle complicazioni scaturite dalla mancanza di tempo.
Nello specifico, la precarietà delle posizioni lavorative impone alle
dottorande di occuparsi di vari incarichi, diradando la presenza nella ricerca.
Mentre passa il tempo, le letture femministe, femminili e fantastiche occupano
uno spazio sempre maggiore all’interno del gruppo.
Perché questa scelta
quasi esclusiva di autrici?
Curti sottolinea una volontà di appropriarsi di
voci a margine nel panorama culturale, cadute nel dimenticatoio; una necessità di
campo razionale e allo stesso tempo sconfinante nel fideismo. Un concetto, il
femminismo, abbracciato con vigore dalle più giovani del gruppo.
La massa di materiale scaturito dal gruppo di ricerca
ha indotto la Professoressa Curti a valutare un’organizzazione dello stesso in
una forma condivisa e fruibile a un pubblico esterno all’ambiente universitario.
Perciò l’ideazione della raccolta è stata salutata con entusiasmo dalle partecipanti,
rinvigorita da un ritorno di menti disposte a dare forma alle fabulazioni
disseminate lungo il percorso.
Così mentre l’apporto queer di Nina Ferrante, inteso
anche nella sua traduzione letterale, cioè strano, ha gettato importanti
fondamenta filosofiche alla raccolta, è poi spettato a Lidia Curti e Marina
Vitale l’onere di partorire la creatura in sembianze seducenti rispetto
all’elevato peso specifico dell’anima contenuta.
Infatti la scelta della semantica, dell’introduzione, dell’avvicendamento dei
saggi, del titolo, della casa editrice cui affidare l’opera e molto altro sono
state oggetto di dibattito serrato.
Infine, nella seconda metà del 2019 nasce Femminismi Futuri ma, prima di procedere
nella disamina dei saggi, lascio un’ulteriore testimonianza della chiacchierata
telefonica con Curti: ”Ho scelto la SF per la possibilità che dà di aprirsi
verso altri mondi in forma utopistica/ottimista. Non ho mai proposto loro
romanzi dichiaratamente distopici anche se Vitale ha letto Atwood. Io non l’ho
mai letta perché è peccato mortale; sono per l’apertura, il futuro, l’evasione
e la fuga.”
Mi sento completamente in sintonia con le parole della Professoressa e,
davvero, nella corposa bibliografia allegata alla raccolta, solo nel saggio di
Vitale compare un romanzo distopico, quello appunto di Atwood.
C. Contenuti e intrecci
Approfondisco ora il contenuto e, come nel gioco del ripiglino, tento di generare intrecci tra le riflessioni contenute nei saggi e il mondo del fantastico contemporaneo e del mondo femminile in generale.
La raccolta è suddivisa in tre tematiche ed è così articolata:
- “Favole per pensare” raccoglie i saggi di Marina Vitale “Racconti speculativi del futuro”, di Lidia Curti “Il viaggio interstellare tra pensiero verde e afrofemminismo”, di Silvana Carotenuto “La scrittura vegetariana di Han Kang” e di Olga Solombrino “Riprodurre il futuro palestinese sui terreni della memoria”.
- Nel tema “Tecnologia e immaginario” troviamo Tiziana Terranova “Fare e (dis)fare il tempo: eco-cronopolitiche femministe”, Antonia Anna Ferrante “Sesto senso transfemminista. Telepatia in un mondo di guai”, Roberta Colavecchio “Critter, figurazioni, futuri.Tra mito, arte e (fanta)scienza e Alessandra Ferlito “Curatela e femminismo in Italia”.
- L’ultima tematica si intitola “Cyber fantasy” ed è composta dagli unici due testi, e due testi unici, che mescolano narrazione, speculazione e saggio senza porre restrizioni semantiche o concettuali. Se ne riceve quindi un’impressione di fluidità e di caos organizzato e produttivo. Sembrano pensati per essere terreno di cultura, coltura e cura di resilienti semi antichi messi a dimora per le generazioni future. Stamatia Portanova, infatti, si occupa di un’influencer digitale “Imparare a riprogrammarsi: la storia di Lil Miquela e dei suoi femminismi” mentre Luciana Parisi, Suzanne Livingston e Ann Greenspan partoriscono dal loro capo umorali Dee di diverse religioni e mitologie che danno vita a “Ragazze anfibie”.
L’introduzione della curatrice “Frontiere femministe,
ecologie future” inizia con un esergo di Audre Lorde di cui estrapolo una
frase: - Per le donne, la poesia non è un lusso […] Getta le fondamenta per un
futuro di cambiamento, un ponte attraverso la nostra paura di ciò che non è
stato prima.-
Trovo emblematica la scelta della curatrice. Nel
presentare i saggi delle autrici insiste nella capacità del fantastico,
dell’immaginario, della poesia di creare un punto di rottura con l’Antropocene
e di proporre semi salvifici – la raccolta ne è permeata- per affrancare il
pianeta da un sistema che l’ha scarnificato e digerito.
Uso questi verbi non a caso trovando un’equazione inscindibile tra la voracità
del sistema capitalistico e le sorti di un organismo globale, quale è il
pianeta e come l'ha descritto Curti, ridotto a junk food venefico per gli stessi consumatori.
Rappresentativo della riflessione è il racconto “Cornucopia”, di
Linda De Santi, in cui gli umani approfittano di doni inaspettati, fuoriusciti
dalla “Frattura” una sorta di Nuovo Mondo, nell’unico modo che conoscono da
millenni ossia predandoli e cibandosene anziché gioire dell’inconsueta bellezza
di cui gli alieni sono dotati.
Anche Giuliana Misserville si interroga sul "
“Racconti speculativi del futuro” è il saggio di Marina
Vitale, primo della raccolta. L’autrice, partendo da un’analisi di
“Chthulucene, sopravvivere su un pianeta infetto” della filosofa e studiosa
Donna Haraway, presenta “Ragazze elettriche” di Naomi Aldermann e “Il racconto
dell’ancella”, citando anche altre opere rilevanti di autrici fantascientifiche,
come esempi di commistione tra narrativa e formulazione di teorie. Infatti,
secondo Vitale: “Ciò che mi sembra particolarmente significativo è il doppio
movimento di avvicinamento stilistico tra la modalità argomentativa, tipica
della saggistica, e la modalità visionaria, tipica dell’affabulazione.(pag.
20)
Il saggio ha il grande pregio di presentare un libro che l’autrice definisce
arduo, cioè Chthulucene, insieme ad altri letti o almeno conosciuti dagli
appassionati di SF che, nel confronto, riescono a rendere più accessibile il
pensiero di Haraway.
Inoltre averlo inserito all’inizio di questa raccolta facilita la comprensione
dei richiami delle altre autrici alle opere della professoressa californiana.
La curatrice, nel suo testo, si aggancia ai concetti inerenti il mondo vegetale del saggio di Haraway e si sofferma sul colonialismo come pratica devastatrice di ecosistemi verdi. Non a caso cita Ursula K. Le Guin e, tra le varie opere analizzate, Curti riflette su un racconto “ossigenante”: “Vaster than Empire and more Slow” del 1971, contenuto nell’antologia “Ritrovato e perduto” di Oscar fantastica Mondadori.
Le Guin è autrice cara a Haraway, così come Octavia Butler, e la curatrice le analizza per introdurre una riflessione legata concentricamente al mondo vegetale.
Il concetto dei semi, presentato da Curti e ricorrente in tutta la raccolta, è speranza di rinascita per qualsiasi organismo planetario, non solo vegetale, e permea la visione dell’intera narrativa di Butler, ben oltre il romanzo “La parabola del seminatore”.
Il potere rigenerante e salvifico dei semi è una suggestione ricorrente in molta narrativa speculativa. A tal riguardo vorrei citare “Calendario della semina”10 racconto contenuto nell’antologia “Stelle Umane” di Giulia Abbate. Narra le vicende di un’attivista, Cecilia, e della sorella avvocatessa, Delia. L’anno è il 2036 e una multinazionale detiene il potere sulla riproduzione vegetale e animale, causando un'inevitabile ribellione. La soluzione della controversia passa attraverso un'inconsueta, quanto estrema, presa di posizione dell'attivista.
L’autrice, attraverso l’analisi del romanzo di Han Kang “La vegetariana”, palesa l’intenzione della protagonista di estirpare la concezione carnale e carnivora del patriarcato per radicare in un mondo “altro” fatto di sole e aria. Il rifiuto della carne prima e di qualsiasi cibo poi, traghetta Han Kang in una morte solo apparente poiché, in realtà, il suo è un cambiamento di stato biologico e spirituale.
Carotenuto cita inoltre il caso clinico della donna albero curata all’Ospedale degli Incurabili di Napoli e Mama Mithi, keniota, prima donna del continente africano ad avere ricevuto il Nobel per la pace grazie alla creazione nel 1977, della Green Belt Movement11, organizzazione di salvaguardia ambientale non governativa focalizzata sulla piantumazione di alberi, la conservazione dell'ambiente e la promozione dei diritti delle donne.
La protagonista, in questo caso, vuole staccarsi da una realtà ribollente di attività delle quali non riconosce il valore. Radicare in un’intimità terrea e immobile, le permetterà di produrre frutti senza la violazione frenetica del corpo.
L’ultimo
saggio della prima sezione è scritto da Olga Solombrino e si intitola
“Riprodurre il futuro palestinese sui terreni della memoria”.
Le parole chiave di questo testo sono: semi, colonialismo, memoria, archivio.
Queste parole sono messe in pratica da due protagoniste del saggio: Viven Sansour, la
regina dei semi, antropologa e artista palestinese, creatrice del Palestine
Heirloom Library12, archivio sementiero, e non solo, della tradizione agricola
palestinese e da Larissa Sansour, artista palestinese nota per esibire
tematiche sociali inserendole in ambiti fantascientifici attraverso i linguaggi
del cinema, della fotografia, dell’installazione e della scultura.
Larissa Sansour, “In the future 2”
Come già detto, i semi permeano tutta la raccolta ma,
in questo saggio, raccontano la realtà palestinese nella quale la resistenza al
colonialismo israeliano passa attraverso la potenza germinativa delle sementi messe a dimora in terreni improduttivi e marginali.
Quindi ecco la seconda parola
chiave, colonialismo, strumento di predazione del sostentamento alimentare,
attraverso l’insediamento nei territori più fertili da parte dei coloni/zzatori
israeliani, e di predazione delle origini, attraverso la mistificazione e
l’oblio della memoria dei fatti accaduti prima e dopo la nakba, l’esodo
palestinese del 1948.
Così arriviamo alla terza parola chiave: memoria. Le vere
ragioni della diaspora palestinese, il reale coinvolgimento degli stati europei
nella divisione al termine del mandato britannico, la proporzione di
palestinesi fuggiti o cacciati, il rifiuto del diritto al ritorno nei territori
nativi, è tutt’oggi oggetto di
contenzioso e di dibattiti. Per questa ragione il web si è trasformato in un
archivio, ultima parola chiave, disponibile, accessibile e condivisibile per
dare voce e registrare le testimonianze di chi ha vissuto la prima nakba e
anche la seconda ondata del ‘67/’68.
Gli archivi si dimostrano strumento fondamentale per il ricordo e chiunque, per
qualsiasi questione ritenga urgente, può creare una zona affrancata dalla
dispersione e dall’oblio.
A tal riguardo, in merito all’incuria dell’opera femminile,
segnalo un’iniziativa di Archivissima13, festival dedicato alla
condivisione della memoria contenuta negli archivi italiani, per l’edizione2020 dedicato alle donne. Vi suggerisco di dare un’occhiata, la quantità e
qualità del materiale offerto è davvero impressionante.
La seconda sezione si apre con il saggio di Tiziana
Terranova:“Fare e (dis)fare il tempo: eco-cronopolitiche femministe”.
Scrive l’autrice: “La mancanza di tempo di cui Ada (Lovelace) soffre è quella
naturalmente della vita che le sfugge di mano, ma anche tutto il tempo e le
energie che le sono state sottratte dalle pressioni sociali sulla femminilità.
Se Virginia Woolf chiedeva una stanza tutta per sé, Ada formula invece una
richiesta che sembra risuonare ancor di più con il presente, cioè chiede del
tempo tutto per sé.” (pag. 100)
Partendo dal film Conceiving Ada (1997) e mediante la fisica quantistica, l’autrice
analizza il tempo, grazie all’opera di Karan Barad, fisica e teorica
femminista, a Denise Ferreira Da Silva, filosofa afro brasiliana, Donna Haraway
e Anna Tsing antropologa californiana. La conclusione è il dispiegarsi di un
tempo circolare, anziché lineare dal passato verso il futuro, che stratifica e
unisce, anziché dividerle, le esperienze vitali di tutti gli organismi del
pianeta.
L’invito finale di Barad e Da Silva è di “considerare la molteplicità temporale
come una base su cui costruire delle – arti del vivere su un pianeta
danneggiato- in un mondo costruito non da entità separate, ma da uno stato di
agenzialità.”
La studiosa intraprende una maratona concettuale citando la popolare serie di Netflix: Sense8. Le creatrici hanno il desiderio “di decolonizzare il futuro dalla smania di controllo […], ma non solo; infatti la scrittura eccentrica delle due registe interrompe di continuo la linearità del tempo maschile e occidentale. (pag. 115)
Di seguito viene sezionata la piattaforma Netflix, presa a emblema di altri device, notando una capacità di prendere/accumulare/vendere dati, attraverso le emozioni comuni tra account diversi, e generare profitti, senza restituire nulla.
L’ “asservimento macchinico” (Lazzarato 2006), consapevolmente o inconsapevolmente volontario, genera “la distopia del capitalismo di piattaforma” (pag. 123). Il “networking è una forma di privatizzazione, bonifica e securizzazione contro l’ignoto che si può incontrare nello spazio fisico pubblico” (pag. 124).
L’autrice giunge alla fine domandandosi se “saremo in grado di imparare la lingua dell’algoritmo per riuscire a metterci in contatto con altr* praticando parentele radicali?”.
Questa domanda incuriosisce parecchio e immagino si possa riuscire nell’intento, anche attraverso canali più analogici che digitali, praticando il gioco, attività millenaria propria di tutti gli esseri viventi. Penso ai giochi di ruolo, GDR, magari nella versione cartacea, capaci di riunire fisicamente gruppi di amiche/ci, in controtendenza rispetto ai tempi e alla situazione emergenziale contingente.
Online la mescolanza intellettuale si rinvigorisce, potendo raggruppare account di nazionalità diverse, così da permettere di amplificare la creazione di fabulazioni e di visioni promesse nei regolamenti di gioco.
A tal riguardo segnalo un GDR appena pubblicato, nato dalla fantasia di Marta Palvarini: DuraLande. Ne ho parlato in questo breve articolo, in seguito a una chiacchierata con la creatrice.
In questo caso specifico non è possibile imparare la lingua dell’algoritmo, così come per il resto dei GDR cartacei, ma si reimpara a fantasticare sperimentando forse un modo nuovo per vivere la quotidianità.
La missione di Dura-Lande è incoraggiare una ricerca di vie e di metodi per scampare alla realtà distopica narrata, o come dice Haraway, a con-viverci nel miglior modo possibile.
Così si arriva alla parola backcasting, ossia “tecniche
che guardano al presente partendo da visioni di un futuro desiderabile, al fine
di identificare delle rotture di tendenza che possano generare opzioni
strategiche creative, includendo un maggior numero di considerazioni politiche.”
(pag. 130) contenuta nel saggio di Roberta Colavecchio: “Critter, figurazioni,
futuri. Tra mito, arte e (fanta)scienza”.
L’autrice analizza il fenomeno del Solarpunk come pratica per mettere in atto
strategie volte alla progettazione di nuovi scenari futuri, sperabilmente non
apocalittici o distopici. Nemmeno l’utopia è ben accetta se ciò significa dare
una mano di green e di sostenibilità a proposte superficiali, per cavalcare l’onda
di una moda, senza aver interiorizzato le urgenze e i valori che il solarpunk
ha la dignità e il potere di veicolare.
Colavecchio si sofferma sulla parte visuale del solarpunk, illustrando artiste
che propongono installazioni multimediali attraverso cui allargare una
prospettiva anticolonialista.
L’approccio e il metodo colonialista ricorrono anche in questo saggio, analizzati
da un ulteriore punto di vista su cui riflettere per promuovere la critica, la rottura
e l’allontanamento dal letale sistema.
Per questo saggio segnalo il tentativo italiano di proporre narrativa solarpunk
in grado di figurare futuri auspicabili stimolando il desiderio di tracciare
vie praticabili per arrivarci.
Francesco Verso14 è stato il primo editor e autore
ad avere introdotto opere solarpunk proprie e di narratrici/tori di altri stati del
mondo, mentre è di recente pubblicazione la prima antologia solarpunk di autrici/tori
italiani: Assalto al sole a cura di Franco Ricciardiello per Delos Digital.
Alessandra Ferlito conclude la seconda parte del volume
con “Curatela e femminismo in Italia”, inanellando diverse esperienze
curatoriali femministe, dal 1970 a oggi, per riflettere su eventi in cui la
presenza femminile e femminista ha lasciato un’impronta riconoscibile e
innovativa.
Così la creatrice cita la 58a Biennale di Venezia
definita dalla stampa italiana come “la biennale più femminista di sempre”.
Il secondo livello di analisi di Ferlito riguarda la spinta femminista
all’inclusione di soggettività non eteronormate, palesando l’abitudine patriarcale
di tutelare il sistema binario maschio/femmina e umanità/altro.
Anche in questo saggio ricorre la parola chiave “archivio” con l’emblematica
esperienza online di Matriarchivio del Mediterraneo15, spazio liberato e accogliente, in
grado di raccogliere le esperienze performative dell’arte femminile nella sua
globalità, senza lo sbarramento delle esclusioni mirate a cui abbiamo assistito
per almeno due grandi eventi di fine estate 2020, da non citare per non fare loro pubblicità immeritata.
La terza e ultima parte, Cyber Fantasy, è introdotta da
Stamatia Portanova con “Imparare a riprogrammarsi: la storia di Lil Miquela e
dei suoi femminismi”
Seguo da tempo l’influencer16, la sua community e la massa di interazioni sul
canale Instagram, a volte davvero esilaranti, eppure emblematiche della
porosità tra realtà e fantasia, o meglio, tra realtà virtuale e biologica.
Il
modo in cui è analizzata da Portanova è inconsueto sebbene, forse, il più
efficace per generare una riflessione anticonformista e futuribile.
Dalla pagina 173 alla 177
Portanova si occupa dell’influencer in termini di neoliberismo e postfemmismo
giungendo a dichiarare Miquela, nel suo essere inserita nel fashion system,
“una forma di capitale umano, il cui modello economico diventa modello
esistenziale”, (pag. 177). Però propone anche di oltrepassare il livello dell’immagine
scintillante per considerarla una “rifrazione prismediatica transfemminista",
capace di negoziare all’interno del grande insieme dei diversi femminismi.
Le pagine successive, una sorta di metadiario e di metaracconto, concretizzano
la proposta dando voce a Miquela e ambientandola in una realtà immersa tra
algoritmi, robot, IA e fashion week. La stessa autrice si dà voce,
immaginandosi in una Napoli distopica a pensare alla vita dell’influencer.
Il racconto/saggio avrebbe certo potuto entrare a far parte dell’antologia
DiverGender, contenendo la realizzazione dell’intento delle due curatrici.
Se il focus dell’antologia si concentra sulla creazione di alterità, il testo
di Portanova prospetta una commistione tra espressione biologica e algoritmo,
tra esistenza reale e virtuale, tra coscienza umana e coscienza/incoscienza macchinica.
Di conseguenza si inserirebbe nella stessa speculazione narrativa posta in essere
dal racconto di Franci Conforti “MechanoGender” sebbene in un futuro non così remoto come quello dell'autrice milanese.
L’ultimo testo “Ragazze anfibie” di Luciana Parisi,
Suzanne Livingston e Ann Greenspan, si può definire fabulazione
fantascientifica con un sottile intento didattico, anziché saggistico,
costituito dal carattere mitologico delle personagge narrate e dagli elementi
di biologia sparsi nel testo.
La lettura di quest’ultimo saggio potrebbe rivelarsi laboriosa; il suggerimento
è di lasciarsi attraversare dalle parole senza soffermarsi su un’eventuale
estrapolazione di concetti.
Letture successive contribuiscono a diradare la
sensazione di smarrimento iniziale per approdare a quello che potrebbe essere uno degli scopi della
narrazione, cioè generare nel lettore la creazione di universi personali, unici
e irripetibili.
Che altro scrivere?
Nulla, ora è necessario iniziare a leggere e "pensare, pensare dobbiamo". (cit.) Anche agire, se possibile.
- D. Note e sitografia
- https://www.iacobellieditore.it/catalogo/femminismi-futuri/
- https://www.lavoroculturale.org/ripensare-il-futuro/viviana-scarinci/
- https://www.letteratemagazine.it/2020/03/07/come-ricomincia-il-mondo/
- Digita sul tuo browser: rammendare il tempo per renderlo vivente. Diversamente si apre il sito del Manifesto e l'articolo può essere letto solo dagli abbonati.
- https://www.facebook.com/560553893970037/videos/1055312084899400
- "Una donna con tre anime" Rosa Rosà, Papero Editore, nella collana Sorelle d'Italia
- n. 124, disponibile in cartaceo e digitale. https://leggendaria.it/prodotto/leggendaria-124/
- https://not.neroeditions.com/donna-haraway-chthulucene/
- https://www.spreaker.com/user/la_mano_sinistra/1x3-ladonnamangiata
- https://www.mondadoristore.it/Stelle-Umane-Giulia-Abbate/eai978882601688/
- http://www.greenbeltmovement.org/
- https://www.youtube.com/watch?v=XoexxUOeZak
- https://rominabraggion.blogspot.com/2020/06/archivissima-digital-2020.html
- https://www.futurefiction.org/ebook/solarpunk-come-ho-imparato-ad-amare-il-futuro/
- http://www.matriarchiviomediterraneo.org/
- https://www.instagram.com/lilmiquela/
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