Recensione: Le madri cattive

#recensione 

Recensione: Le madri cattive

Le madri cattive è un romanzo di Nicoletta Vallorani, edito nel marzo 2011 da Salani. Ha vinto la sesta edizione del Premio Nazionale di Narrativa 'Maria Teresa Di Lascia'. 


TRAMA 

Annie è una fotografa. I suoi set sono quelli della cronaca nera, i suoi scatti sono gallerie di occhi, mani, labbra strette, volti segnati dal lutto. Soprattutto di donne.
Ariel è una psichiatra. Ripara anime segnate dalla nevrosi, dalla depressione, dalla follia. Soprattutto di donne.

Annie e Ariel sono amiche d'infanzia: la prima ha lasciato il paese di origine per trasferirsi a Milano, alla ricerca di un mondo meno oppresso, meno chiuso, più disposto a farsi amare; la seconda è rimasta, e ha trasformato il desiderio d'amore in disciplina e controllo di sé.

Si ritrovano dopo molti anni, su una scena del crimine: una madre ha ucciso il proprio figlio.
Un caso non insolito nell'esperienza di entrambe, e che spinge Ariel a proporre ad Annie di lavorare insieme.
Ma a quel caso se ne aggiungono altri: altre madri assassine, donne che Ariel conosceva e curava. Anche Annie le conosce, perché le ha catturate nelle sue fotografie; e ora quei visi cominciano a popolare le sue notti, come se volessero rivelarle una verità troppo sconvolgente per essere accettata fuori dal sogno...

RECENSIONE

L'esergo del romanzo è di Paul Valéry e recita: "Bisogna entrare in sé stessi armati fino ai denti".
Credo che queste parole inquadrino subito il tema centrale del noir, sviluppato attraverso il rapporto donna-donna: donna-madre, donna-amica, donna-figlia, donna-amante, donna-assassina.
La trama serve a dipanare il mondo interiore della protagonista, una fotografa. L’atto del fotografare serve da scudo nell’analisi introspettiva di sé, desiderata ma al tempo stesso troppo cruda da affrontare senza un sostegno. La fotografia è l’espediente per mostrare conflitti personali mai risolti, così impattanti da rendere faticoso il vivere.

Il paragone tra l’infanticidio e l’aborto è il fulcro del romanzo e il primo rinvigorisce il dramma del secondo, al quale non c’è modo di sfuggire o di espiare. In questo caso la cattura dell’attimo da parte della macchina fotografica anziché porre distanza fisica e temporale amplifica il dolore, gettando in una crisi psicotica.

Non c’è giudizio in questo romanzo. Le donne sono sole, compiono azioni da sole, si prendono la responsabilità del loro orrore e da sole sono condannate a portare la croce.
L’unico mio appunto è rivolto al tentativo dell’autrice di cercare una parvenza di razionalità nel crimine. Alcune madri uccidono senza motivo plausibile. O meglio, una serie di circostanze convogliano spesso nell’atto finale dettato da un black out cerebrale e dal successivo passo in una direzione piuttosto che in un’altra. Infatti colgo l’occasione di questa recensione per accennare a un tema taciuto, recando meno orrore dell'infanticidio ma, secondo me, portando una tristezza infinita e negando la compassione: il suicidio delle madri a un anno dalla nascita del figlio. Analizzando i dati disponibili si può constatare che più spesso le madri uccidono sé stesse, anziché il loro neonato.

Vallorani parla anche del rapporto tra madre e prole, evidenziando dinamiche a volte lineari a volte conflittuali. La protagonista ha la sfortuna di non godere dell’amore materno, concesso invece al fratello.

Questo libro ha un colore: il grigio. Questo libro ha un sapore: acqua dolce e acqua di mare. Questo libro ha una consistenza: la viscosità dell’acqua di palude. Questo libro ha una temperatura: quasi fredda. Questo libro suona cupo e profondo.
Questo libro parla di donne e parla alle donne. Farebbe un gran bene anche agli uomini questa lettura. Però si sa, gli uomini non leggono libri che parlano di donne, così l’autrice si è tolta la pena di dare loro un ruolo appena più che accessorio. È una trovata razionale e proficua. In quello che scrive l’autrice, gli uomini c’entrano poco. Da sempre sono disinteressati all’onere della cura, giusto quindi citarli solo in appendice.

Consiglio la lettura con un avvertimento: affrontatela con consapevolezza e compassione.



A presto.
Romina Braggion

Commenti