Vietato scrivere: appendice subalterna, nota a margine. Una recensione e qualche riflessione

Premessa: giunta al termine della recensione mi sono resa conto di avere scritto un extra long-form, uno di quei post che le regole SEO (search engine optimisation) non sono ancora riuscite a classificare se davvero utili per un blog oppure il contrario. Scrivere meno parole era impossibile, e già sono abbastanza concisa… Impiegherete circa mezz’ora per arrivare in fondo, se poi aprite gli imprescindibili link aumentate esponenzialmente il tempo in cui dovrete stare in poltrona. Vedete voi, io vi ho avvertito.

Vietato scrivere, di Joanna Russ, è stato pubblicato nel febbraio 2021 da Enciclopedia delle donne e tradotto da Chiara Reali e Dafne Calgaro. 

L’originale venne iniziato nel 1978, pubblicato in una prima edizione nel 1983 e successivamente nel 2018 con la prefazione di Jessa Crispin.
L’edizione italiana reca la postfazione di Nicoletta Vallorani mentre la copertina è un’opera di Laura Fazio del 2011: My soul is somewhere, puntasecca e modelling paste.


 

Consta di 262 pagine, bibliografia di 8 pagine inclusa, nonché di svariate pagine di note e citazioni. “Una volta avevo chiesto a una giovane collega che lavorava alla sua tesi, se i capelli le fossero diventati grigi all’improvviso per problemi personali o di salute;lei mi rispose: sono state le note a pié di pagina” (Russ, Vietato scrivere. Come soffocare la scrittura delle donne, pp 235-236)

I capitoli sono 18. Dal sommario:

A.  Prefazione di Jessa Crispin

B.  Prologo

C.  Divieti

D. Malafede

E.  Negazione dell’agency

F.  Contaminazione dell’agency

G. Due pesi due misure

H. Falsa categorizzazione

I.   Isolamento

J.   Anomalia

K.  Mancanza di modelli

L.  Reazioni

M. Estetica

N. Epilogo

O. Nota dell’autrice

P.  Postfazione (dell’autrice)

Q. Postfazione. Da Seattle a Kobane, e ritorno di Nicoletta Vallorani

R.  Bibliografia

Il saggio è “arrabbiato ma non moralista, approfondito ma non spossante, serio ma non privo di umorismo. Eppure nonostante sia stato pubblicato nel 1983, più di trent’anni fa, non c’è un’enorme differenza tra il mondo descritto qui e quello in cui viviamo oggi”. (Crispin, ibid., p. 9)

Da un certo punto è necessario partire e Russ, nella disamina degli esempi, restringe il campo alla sfera anglosassone e a una scelta soggettiva; auspica però che altre continuino la sua opera di palesamento, anche e soprattutto in ambiti non bianchi e non anglosassoni.
Per quanto riguarda l’Italia, nel 2020, Valeria Palumbo pubblica con Editori Laterza il saggio “Non per me sola. Storia delle italiane attraverso i romanzi” in cui esamina le opere delle scrittrici dall’Ottocento a oggi, mostrando una situazione variegata e singolare, rispetto al canone consueto narrato da uomini, della condizione delle donne in Italia.
Sebbene come già precisato, l’opera di Russ si riferisca alla realtà anglosassone ma si adatti a qualsiasi altro contesto territoriale, cito un esaustivo articolo di Marianna Orsi, diviso in due parti, pubblicato su Radici Digitali e intitolato - Donne invisibili. Come i manuali di letteratura ignorano il contributo femminile (prima parte) e Donne invisibili – Come ridare voce alle autrici (seconda parte) in cui l’autrice si sofferma sulla procedura poco edificante, ancora oggi utilizzata, di eliminare la presenza femminile dai manuali in uso nelle scuole italiane. A ulteriore conferma di quanto il problema della scomparsa delle donne dalla formazione umana sia sempre urgente, riferisco a titolo di esempio l’opera di un gruppo di docenti, cioè Indici paritari, ospitate insieme a altre studiose, giornaliste etc. sul canale di Feminism fiera dell'editoria delle donne, per un incontro davvero ricco di spunti e proposte

A.  La prefazione, ironica e tagliente, di Jessa Crispin, è un’introduzione efficace sia allo spirito di Russ, sia ai concetti contenuti nel saggio, forse più di quanto non faccia la stessa autrice nel prologo. Inizia così: “Ho una visione. […] Tutti questi uomini, tutti questi uomini bianchi, ogni uomo che abbia mai detto a un’assistente di redazione a una festa, bloccandola contro il muro «Sai, il mio è un matrimonio aperto», ogni uomo che abbia mai usato la parola - melodrammatico - per descrivere il memoir di una donna, - eloquente - per descrivere la performance di un uomo nero, o che abbia dedicato due paragrafi a fare congetture sul corpo di una scrittrice o uno scrittore trans in quella che sarebbe dovuta essere una recensione della sua opera, ogni professore che abbia utilizzato i testi di Kanye West a lezione per dimostrare di essere al passo coi tempi, per poi mettere in programma esclusivamente autori bianchi, ogni uomo che si sia mai riferito a Brontë o a Emily Dickinson o a James Baldwin come ad autori  - minori -: sono tutti qui.
Sono venuti a espiare. Sono venuti a chiedere un’assoluzione. Si sono scontrati con il loro inconscio, hanno finalmente guardato in faccia i propri pregiudizi - il bisogno di credere che chiunque non appartenga al loro gruppo sia un impostore o un guastafeste - e la rivelazione li ha sopraffatti.
” (Crispin, ibidem, pp. 7-8)
Sopraffatti? Si tratta giusto di una visione, una speranza mal riposta, un racconto fantastico, immaginare il senso di colpa davanti a una questione che non si comprende. Non può esistere espiazione se non si ha coscienza della nocività di un modello reiterato in cui incorrono tuttə coloro che non fanno parte del club dei MIBAC (Maschio italiano - internazionale? - bianco, agiato - anziano? - , cattolico. Mio acronimo, N.d.R). Poca consapevolezza e nessuna empatia albergano nell’animo di chi cammina attraverso i secoli sicuro del proprio potere e ben intenzionato a mantenerlo.
È sopraffatto chi non prende nemmeno lontanamente in esame una questioncella “minore” come l’uso della schwa, poiché non lo riguarda il sottotesto che presuppone? Anche se si parla di romanzi di fantascienza, il regno (teorico) del progresso? Illusorio è immaginare il contrario seppur si tratti di una rivendicazione davvero modesta e peraltro sarebbe interessante capire come il diritto di definirsi non binary/altro possa mettere a repentaglio la libertà dei cisgender.
Ho però precisato che Crispin interpreta in modo tagliente lo spirito ironico di Russ e le parole sopra citate in corsivo possono intendersi proprio come omaggio all’autrice.

B.  Nel prologo l’autrice inventa, secondo la necessità narrativa del saggio ma mantenendo la sua ironica e riconoscibile voce (cfr. Russ, The Female Man), due pagine sulla società Glotolog in cui il termine glotologico “è entrato di recente nello slang intergalattico come sinonimo di una ridicola illusione autoimposta, rinforzata da diffuse ed elaborate invenzioni sociali che portano a una macro distorsione delle informazioni”. (Russ, ibid. p. 19).
Al termine del capitolo, l’autrice fornisce un’indicazione di lettura: “Quanto segue non va considerato come una storia. È piuttosto la bozza di uno strumento analitico: schemi ricorrenti nella repressione della scrittura delle donne.” (Russ, ibid., p. 21).
Davvero no, cara, sebbene tu ci abbia divertito con i Glotolog, non si può definire il testo una storia e nemmeno una bozza. Si tratta invece di uno strumento di analisi molto preciso e articolato che sviscera lo status quo attraverso “un’accumulazione di esempi finché non emerge uno schema o un argomento non si fa più chiaro”. (Russ, ibid., p. 229)
Anticipo il tema dell’accumulazione di esempi affinché sia subito comprensibile lo scopo didattico dell’elencazione di opere letterarie, saggistiche, teatrali, cinematografiche, televisive di aneddoti, curiosità, dichiarazioni.
Un altro punto di attenzione è la perentorietà del titolo con cui Russ afferma la legittimità di ciò che andrà a scrivere e se ne prende la responsabilità.
Mi sorge però il dubbio che l’autrice non abbia afferrato la reale portata sociale dello strumento prodotto. Se la scrittura si può considerare espressione di un mondo, in questo caso del femminino, svelare le pratiche per soffocarla significa comprendere come evitare il sabotaggio della vita delle donne.
Vivere una vita aderente alle pretese di altri significa essere appendice subalterna, non persona libera. In nessun atto normativo, né sacro né laico, è negata la libertà alle donne eppure la quotidianità impone il contrario, a vari stadi di coercizione e in modi diversi a seconda del luogo in cui si vive.
Anche se in modo forse inconsapevole, nei capitoli successivi al prologo, Russ rende a tutte noi un servizio amorevole e prezioso, mostrando i procedimenti messi a punto per trasformare le donne, non solo le scrittrici,- e le minoranze - in appendici.

C.  Si parte dai procedimenti più semplici e banali fino ad arrivare ad architetture repressive difficili da individuare ed evitare.
Il divieto, declinato anche nelle più subdole forme della disincentivazione o del deterrente, è il primo meccanismo.
La mancanza di tempo e la povertà sono tutt’ora deterrenti poderosi alla scrittura - o fioritura - delle donne.

Parlando di ceto medio, ed escludendo gli altri due macro livelli alle estremità per evidenti motivi di massime e minime opportunità economiche e sociali, si individua una donna con carichi familiari di cura non condivisi e non retribuiti e un lavoro fuori casa non remunerato a sufficienza da consentire di pagare una persona per sobbarcarsi il lavoro di cura.
Riuscire a ritagliarsi uno spazio per sé, significa sacrificare inevitabilmente altri ambiti personali ma a volte nemmeno si riesce. Al momento, in Italia, non esistono politiche di incentivi alla genitorialità e al lavoro di cura condivisi; l’impegno familiare resta in prevalenza a carico delle donne. In questa situazione, il perseguimento delle proprie aspirazioni diventa impraticabile mentre il PIL continua a beneficiare delle discriminazioni.

D. Nel caso della malafede lascio parlare l’autrice poiché ha centrato in modo assai efficace la questione.
“[...] com’è possibile che chiunque abbia un minimo di consapevolezza non la smetta (di discriminare, o anche di colonizzare e depredare, N.d.R), quantomeno per l’imbarazzo (e anche per l’ipocrisia, N.d.R)? [...] Quando si parla di sessismo e razzismo (e abilismo, e ageismo, N.d.R) è necessario distinguere tra i peccati commessi attivamente da misogini e intolleranti e i vaghi, semiconsapevoli peccati di omissione delle persone normali, [...] peccati che sono facilitati dal contesto di sessismo e razzismo istituzionalizzati. [...] Per agire in modo sessista e razzista insieme, per mantenere il proprio privilegio di classe, basta seguire l’abitudine, [...] E tuttavia chi agisce in tal modo non può essere del tutto insconsapevole che qualcosa non va. [...] accettare mistificazioni solo perché sono comode e abituali; sapere di non sapere; preferire non sapere; [...] questa grande e fumosa area dell’intelletto umano è ciò che Jean-Paul Sartre chiama malafede. Quando le esplicitiamo, le tecniche utilizzate per preservare la malafede ci sembrano eticamente atroci [...] E questo perché lo sono”. (Russ, ibid., pp.42-44)

E.  F. Negazione e contaminazione dell’agency vanno di pari passo. Secondo Albert Bandura, psicologo e accademico candese naturalizzato statunitense e scomparso alla fine di luglio di quest’anno, l’agency (o agentività in italiano) è la facoltà di fare accadere le cose, di intervenire nella realtà, di esercitare un potere causale. L’agente è qualcosa o qualcuno che produce o è capace di produrre un effetto . Caratteristica personale dell’agentività personale è la facoltà di generare azioni mirate a determinati scopi. (fonte Wikipedia)
Nei due capitoli gli esempi si susseguono a ritmo serrato. Si parte da Margaret Cavendish, duchessa di Newcastle, che aveva “ingaggiato uno studioso per scrivere le sue opere poiché utilizzava termini colti e scriveva di argomenti fuori dalla sua comprensione; nel 1783 la pittrice Vigée-Lebrun venne accusata di non aver dipinto le sue opere e fu costretta a smentire le illazioni dipingendo nel suo studio personale i giurati dell’accademia.
La negazione dell’agency sconfina nel paranormale, quando si dice che una donna è un mezzo attraverso cui le competenze di altri artisti a lei vicini si materializzano (!) oppure le opere si scrivono da sole per mano di donne non consapevoli di ciò che stanno scrivendo!
Se per una favorevole, quanto inconsueta, consapevolezza una donna scrive e le viene riconosciuta la maternità dell’opera, a quel punto si innesca il meccanismo della contaminazione dell’agentività. Si utilizzano stratagemmi volti a definire l’autrice secondo parametri di bizzarria e anormalità poiché non è concepibile che una donna perbene riesca a narrare argomenti crudi o violenti non avendo la possibilità di viverli, se è davvero perbene.
Il meccanismo si spinge nell’analisi psichiatrica, alla ricerca delle reali motivazioni per cui una donna voglia entrare in ambiti maschili che non le competono, e l’attività intellettuale è un’attività prettamente maschile.
Russ cita una serie di opinioni di pionieri della psichiatria e due, in particolare, mi hanno fatto sorridere non poco.
Freud: “Il desiderio di ottenere il pene tanto agognato (sento le risate di milioni e milioni di donne N.d.R) [...] può contribuire ai motivi che spingono una donna matura all’analisi, e ciò che può aspettarsi ragionevolmente dall’analisi - una capacità, per esempio, di intraprendere una professione intellettuale - può essere spesso riconosciuto come una sublimazione di questo desiderio represso.”
Karl Abraham: “Un considerevole numero di donne è incapace di adattarsi psichicamente del tutto al ruolo femminile. [...] la loro omosessualità [...], il desiderio represso di essere maschi [...] si ritroverà in forma sublimata nel perseguimento virile di una personalità intellettuale e professionale.” (Russ, ibid., p. 69)
Tralascio l’assurdità delle dichiarazioni, buone solo per riempire gli eventi di qualche nostalgico psicologo showman odierno e, davvero, non si sente il bisogno di dedicare altre parole a pseudo-dogmi puntualmente smontati da centinaia di filosofe (giusto per ricordare che esistono anche le filosofe e non sono poche. Anche per questo caso esistono istituzioni che si prendono in carico di testimoniarne l’esistenza, per esempio l'Istituto Salvemini).
La contaminazione dell’agency, con le suddette premesse, è stata ridicolizzata e archiviata da migliaia di donne non solo scrittrici ma anche professioniste della comunicazione, della scienza, della tecnica, della medicina, della ricerca, dello sport e di ogni altro ambito di vita umana.
Eppure…
Prendiamo la contaminazione dell’agency e applichiamola alla vita di donne al centro della scena italiana, nello specifico quella sportiva di Irma Testa. Nell’edizione dei primi di ottobre 2021 del Corriere dello sport, il giornalista che l'ha intervistata ha ritenuto necessario sincerarsi della situazione sentimentale della pugile anziché esaltare la sua carriera e i suoi propositi dal momento che è stata la prima italiana ad avere vinto un bronzo nella boxe femminile, alle olimpiadi di Tokio 2020. Ha concluso con l’invito, visto il fisico, di dedicarsi al mestiere di modella e alle sfilate. Se non è contaminazione dell’agency questa!

 

ph. Eurosport

G. Due pesi e due misure è il titolo emblematico del capitolo, che mi ha causato amare riflessioni, insieme a quelli successivi, ben più dei precedenti. Non giriamoci intorno: il meccanismo di due pesi, due misure, consiste nel bollare alcune esperienze, MIBAC of course, più preziose e importanti di quelle di tutto il resto della popolazione.
L’esperienza del soldato è degna di narrazione, quella della madre sola che, in tempo di guerra, si è dovuta arrabattare per mettere insieme il pranzo con il pranzo del giorno dopo, no.
L’esperienza del viveur al circolo del golf è imprescindibile per la comprensione del mondo aristocratico, quella della “viveur?” al circolo di beneficienza (la viveur viene nominata in un altro modo) forse sì ma è disdicevole narrarla. (vedere contaminazione dell’agentività). Chiaro, semplice, lineare.
Questo meccanismo ha innescato il trucco di scrivere sotto pseudonimo e il caso più eclatante risiede nei vari nomi con cui Alice Sheldon firmava le sue opere. Non vezzo, bensì necessità.
“C’è qualcosa di ineluttabilmente virile nella scrittura di Tiptree [...] la sua opera non è analoga a quella di Hemingway [...] in entrambi c’è una virilità predominante - l’interesse per le questioni di coraggio, per i valori assoluti, per i misteri e le passioni della vita e della morte rivelati da prove fisiche estreme” (Robert Silverberg, ibid., p. 83.
Da Warm world and otherwise by James Tiptree Jr, Ballantine Books, 1975). Va da sé che alla scoperta della vera identità di Tiptree, l’opera di Sheldon ha perso un po’ del suo vigoroso e virile smalto.
“Se l’esperienza delle donne è definita inferiore,meno importante o più -angusta- di quella maschile, la loro scrittura sarà automaticamente denigrata”. (Russ, ibid., p. 89).
Non aggiungo altro.

H. La ricategorizzazione è un gioco di prestigio, uno specchietto per le allodole, un labirinto al lunapark. In una parola è una mistificazione.
Prendi un’opera o un’autrice e collocala nella categoria sbagliata mediante artifici di valutazioni prevenute, menzogne, riclassificazione con l’obiettivo di modificarne e sminuirne la rilevanza.
Ma attenzione, il massimo si raggiunge quando l’opera è ritenuta così “stranamente” importante da essere assorbita da un uomo e ricategorizzata come sua. In questo caso, comunque, si parla di plagio.

I.   Isolamento
“Quando un’opera o un’autrice (del tipo sbagliato) riescono a entrare nel canone letterario del Grande, dell’Eterno o (almeno) del serio, restano due modi per distorcere la conquista di chi lo ha scritto. Attraverso un’attenta selezione è possibile creare quello che vorrei chiamare il mito della conquista isolata, ovvero l’impressione che, sebbene X sia presente in questa storia della letteratura o nel programma di quel corso universitario o in quell'antologia, è solo grazie a un singolo libro o a una manciata di poesie (e puntualmente mai le migliori in assoluto, N.d.R.); di conseguenza le altre opere di X vengono trattate come se non esistessero o considerate inferiori.” (Russ, ibid., p. 111)
L’isolamento produce, in modo subdolo, l’ulteriore effetto di rendere rare le autrici che vengono menzionate, di solito poiché negarne l’esistenza sarebbe davvero inverosimile e inopportuno per il Canone.
A tal riguardo vorrei citare l’intervento di Alessandro Barbero al Festival di Sarzana, nel 2012. Sollecitato a parlare delle donne importanti del Medioevo dichiara, con rammarico, di poter esporre la vita di rarissime protagoniste poiché allora le donne non scrivevano di loro stesse o, molto più realisticamente, non erano scritte. I tre incontri monografici si concentrarono sulla vita di Caterina da Siena, Christine de Pizane e Giovanna d’Arco.
L’isolamento, come gli altri meccanismi esaminati da Russ, ha origini radicate nel passato remoto.

J.   L’anomalia o anormalità, alienità, alterità, pone le poche donne entrate nel Canone in una situazione di eccentricità, singolarità, imbarazzo. Così si tende a diminuire ancora le presenze poiché difficilmente gestibili e inquadrabili dal sistema. Meno ne compaiono e più diventa anomala l’inclusione con il risultato del disconoscimento anche delle eccezionali poiché, appunto, non rappresentative della massa affatto rilevante.
In questo capitolo, Russ snocciola le percentuali di inclusione femminile in antologie, manuali, panel, eventi, interviste, dibattiti, bibliografie, programmi didattici (vedere sopra link a Indici Paritari N.d.R.) ed evidenzia il crudele squilibrio a favore di autori MIBAC
Si conoscono bene le cause di tale squilibrio di inclusione, di certo per quanto riguarda la situazione odierna, a eventi, interviste, dibattiti. Interpellate le donne hanno declinato l’invito. Sarebbe onesto verificare, se la scusa fosse vera, il reale motivo della mancata partecipazione. 

 


Però Russ segnala che alla fine, davanti all’ignominosa evidenza, si deve lasciare qualche briciola: “Ecco una possibile risposta, non estetica ma politica. (elaborata dalla psicologa Judith Long Laws). - Il tokenism (ovvero la pratica di fare concessioni formali alle minoranze come gesto simbolico, di facciata. N.d.T.) [...] si presenta ogni qualvolta un gruppo dominante subisce pressioni affinché condivida potere, privilegi o altri vantaggi con un gruppo che ne è escluso [...]. Il tokenism promuove una promessa di mobilità estremamente limitata [...] Il token non viene assimilato nel gruppo dominante, ma è destinato a una posizione di marginalità permanente.-“ (Russ, ibid., p. 147)
Svelato il meccanismo, sarebbe opportuno riesaminare
le quote rosa per consolidarle nei fatti e non solo nelle intenzioni, mi viene da aggiungere. Se comunque sono concessioni non interiorizzate, manteniamole. Toglierle significa tornare agli anni del dopoguerra italiano e peraltro non mi sembra che gli esponenti politici di qualsiasi colore, sulle poltrone apicali, si formalizzino davanti alle quote rosa.

K.  Mancanza di modelli è l’obiettivo. Se gli altri meccanismi hanno lavorato bene in sinergia e compenetrazione, e di solito è così, arriviamo all’ovvia conclusione: non esistono modelli femminili a cui ispirarsi. O meglio, esisterebbero anche ma dopo il lavaggio del cervello subito in millenni di prevalenza di cromosoma Y, l’autorevolezza è disintegrata, così meglio farsi chiamare direttore, e continuare a scrivere, per scommessa o per davvero, opere degne di essere inserite nel Canone.
Senonché, ai tempi di Russ, le madri spirituali forse mancavano, oggi non è più così poiché tutto il meccanismo e le sue parti, sopra descritto, viene svelato, poco a poco.
Quindi chi mai ora non si porrebbe in ascolto perplesso se qualche nostalgico professore universitario esortasse metaforicamente la platea a “uccidere nostro padre e sposare nostra madre?” (Russ, ibid., p. 154). Dubito capiti ancora ma se l’inclusione dei modelli femminili passa anche dalla buona volontà di insegnanti, il problema attuale riguarda i manuali desueti propinati già dalla più tenera età, poiché è quello il momento giusto per formare adepti.
Però grazie al lavoro di persone illuminate, anche questa ruggine viene grattata via, sempre poco a poco. Almeno si tenta di proporre i modelli e questo potrebbe rientrare nel capitolo Reazioni che vediamo dopo.
In merito ai modelli, rimanendo ancorati alla fantascienza, certo non si può dire che manchino. A tal riguardo segnalo, a titolo d’esempio poiché si stanno moltiplicando i luoghi protetti di aggregazione femminile su molti media, il podcast La mano sinistra, di Giuliana Misserville e il progetto di Laura Coci: Fantascienza, un genere (femminile). Di quest’ultimo parlerò in un prossimo articolo dopo avere rivisto la registrazione del panel, con lo stesso titolo, dell’edizione Stranimondi 2021, il festival milanese di fantastico e fantascienza.
La questione ora potrebbe essere, semmai, di mantenere visibili questi luoghi protetti e di evitarne la clandestinità. Vedremo di presidiare affinché non si instauri anche questo meccanismo.
Direi tuttavia che i segnali sono incoraggianti e la stessa pubblicazione del saggio di Russ ne è un esempio.

L.  Dopo secoli di “programmazione mentale” alla subordinazione, ci si potrebbe aspettare la resa incondizionata.
Eppure…
La terza legge della termodinamica si adatta alla perfezione al soffocamento dei talenti femminili: a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Quindi quali sono le reazioni femminili ai meccanismi messi in atto finora?
- Non scrivere
- Ammettere che la scrittura delle (altre) donne è inferiore
- Arrendersi ai doveri
- Mascherarsi (da uomo)
- Ignorare il problema
- Rimanere ai margini della cultura
- Affermare di essere eccezionali/essere “più che donne”
Queste reazioni assecondano il sistema e cercano di gestirlo.
Altre scrittrici invece confliggono in modo trasparente con i meccanismi e producono altri tipi di reazione:
- Mostrare com’è davvero la situazione
- Esternare rabbia e amarezza
- Cambiare prospettiva
- Creare reti tra donne, quindi solidarietà
Creare solidarietà tra donne è il modo migliore per fare fronte comune a situazioni di svantaggio culturale ma anche sociale. Creare reti e nodi consente di dividere il peso e farsi compagnia durante il viaggio. Anche Virginia Woolf intravvide questa possibilità ma non riuscì a concretizzarla, cita Russ.

M.  Il capitolo estetica si interroga sulla giustizia pelosa di inglobare l’arte delle minoranze all’interno del Canone, arricchendolo ma mantenendolo sostanzialmente immutato.
Anche l’opera maschile contribuisce a perpetrare l’estetica consolidata, lavandosi la coscienza con l’inserimento di personagge ma narrandole secondo il proprio modello. Ne risulta una visione distorta e non plausibile del femminino.
“Adrienne Rich afferma che: fingendo di rappresentare l’umano, la soggettività maschile cerca di costringerci a dire le nostre verità in un linguaggio alieno, a diluirle; ci dicono continuamente che i problemi “reali” [...] sono quelli definiti dagli uomini, (benaltrismo, N.d.R.) mentre i problemi che noi abbiamo bisogno di esaminare sono irrilevanti, non intellettuali, inesistenti [...]
ogni donna che sia passata dal campo da gioco del discorso maschile al regno in cui noi donne stiamo sviluppando le nostre proprie descrizioni del mondo conosce la sensazione straordinaria di alleggerirsi [...] di un bagaglio altrui, di smettere di tradurre. Non che pensare diventi facile, ma le difficoltà sono intrinseche al lavoro stesso, piuttosto che all’ambiente [...]”(Adrienne Rich, Conditions for work: the common world of women. 1977)
Quando smettono di tradurre, le persone sbagliate iniziano a produrre un’arte che non solo è valida, ma è anche autenticamente sperimentale.” (Russ, ibid., p. 201) Russ riflette infine sulla fittizia centralità dell’arte concepita secondo il Canone. Dare voce, davvero, all’arte “altra” significa riconoscere numerosi centri, tutti legittimi e portatori di valore almeno pari a quanto dato per standard nel corso dei secoli.

N. Nell’epilogo Russ tira le somme del lavoro compiuto, cita altre autrici ma stavolta le pone in relazione con i critici, togliendosi qualche sassolino dalle scarpe e indignandosi profondamente all’uscita infelice e volgare di un critico, relativa a Ursula K. Le Guin, in quanto donna anziché autrice.
Nelle ultime righe dell’epilogo si rende conto che il saggio non ne vuole sapere di terminare. Così esorta la persona che sta leggendo a finirlo.

O. La nota dell’autrice mostra quale sia stata la motivazione nella scelta delle autrici. “Ma è vero che nella vita ci troviamo spesso a scegliere tra fare qualcosa in modo parziale e non farlo del tutto, e non è detto che l’opzione migliore sia la seconda. Uno studio esaustivo della storia della soppressione e della disincentivazione della scrittura delle donne richiedrebbe anni di lavoro e un bel mucchio di soldi; in mancanza di tutto ciò, ma disponendo del dubbio privilegio di sette mesi di malattia, ho solo cercato di definire quegli schemi che mi sembrano persistere da almeno un secolo e mezzo, se non di più.” (Russ, ibid., p. 229)

P.  Infine nella postfazione dell’autrice, Russ puntualizza un ulteriore punto che, evidentemente, le rodeva non poco: la volontà di includere le scrittrici nere. Senonché si rende conto che la mole di lavoro generata per l’inclusione non è gestibile nello spazio concesso dalla sua editor. Quindi stila un piccolo elenco, a sua assoluta discrezione e gusto personale, mettendosi l’animo in pace con la constatazione che le donne nere sono in grado di mostrare da sole le loro condizioni di vita e di lavoro.

Q. Nicoletta Vallorani si occupa della postfazione: Da Seattle a Kobane e ritorno e chiude l’edizione italiana con sei pagine e mezza dense di spunti, concetti, significati.
Essere stata l’apripista nella fantascienza femminile italiana, insieme a poche altre autrici emblematiche, è un grosso impegno e un fardello che sarebbe bene sviscerare e iniziare a con+dividere.
È peraltro una tra le poche autrici a essere in grado di contestualizzare e di mostrare l’attualità e l’urgenza, sebbene siano passati quasi quarant’anni dalla creazione, del saggio di Russ.
Così tesse e tira le fila del lavoro di numerosi collettivi, autrici, portavoci, nuove leve, profili emergenti, ma anche donne che nell’ombra costruiscono una “riscritta genealogia femminile” nella letteratura italiana, con specifico riferimento alla fantascienza. Tra i ragionamenti, che più mi hanno colpito, con cui si riallaccia alle parole di Russ, cita un appello letto sul sito Rete Jin Italia: “Non lottiamo le une separate dalle altre, lottiamo insieme.
Infatti Russ lo chiede nel 1983 e “Scrivetelo voi” è il suo modo di passare il testimone.
Continuiamo a scriverlo noi o lo facciamo scrivere a qualcun altro? Proviamo a scriverlo noi e, intanto, leggiamolo.

A presto.
Romina Braggion

 

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