Recensione: Oltre la periferia della pelle

Oltre la periferia della pelle. Ripensare, ricostruire e rivendicare il corpo nel capitalismo contemporaneo è un saggio di Silvia Federici, tradotto da Patricia Badji e pubblicato nel febbraio 2023 da D Editore


Quarta di copertina

«Mai come oggi, “il corpo” è al centro della politica radicale e istituzionale. Movimenti femministi, antirazzisti, trans, ecologisti: tutti guardano al corpo come terreno di confronto con lo Stato e veicolo di pratiche sociali trasformative. Allo stesso tempo, il corpo è diventato un significante per la crisi riproduttiva generata dalla svolta neoliberista nello sviluppo capitalista e per l’impennata internazionale della repressione istituzionale e della violenza pubblica.
In Oltre la periferia della pelle, Silvia Federici, attivista per tutta la vita e autrice di bestseller, esamina questi complessi processi, collocandoli nel contesto della storia della trasformazione capitalista del corpo in macchina-lavoro, ampliando uno dei temi principali del suo primo libro, Calibano e la strega. In questo processo affronta alcune delle questioni più importanti per i progetti politici radicali contemporanei. Cosa significa oggi “il corpo” come categoria di azione sociale/politica? Quali sono i processi, istituzionali o antisistemici, da cui è costituito? Come smantellare gli strumenti con cui i nostri corpi sono stati “chiusi” e rivendicare collettivamente la nostra capacità di governarli?»

Silvia Federici ha il raro dono di comunicare in modo efficace. Vola sopra vette concettuali inconcepibili per molt3 studios3 eppure è lucida, diretta al limite della divisività ma allo stesso tempo pronta a mettersi continuamente in discussione e a porsi nuovi domande.
Evita di abbandonarsi al lessico che Calvino battezzò Antilingua: «Chi parla l’Antilingua non ha alcuna intenzione, e ce lo fa capire, di mischiarsi con la volgarità del linguaggio comune.
La lingua si trasforma, si scolla dalla realtà, diventa distante e fumosa. Nella presunzione di aver detto qualcosa di determinante e arguto si dovrà invece accusare il colpo di non aver detto alcunché di comprensibile.

Al contrario dei testi de3 praticant3 dell’Antilingua, il saggio in esame possiede due caratteristiche all’apparenza inconciliabili: l’estrema semplicità e la pregnanza degli argomenti.
Si tratta di un oggettino dalla grafica e dai colori accattivanti, in formato da borsetta, con un linguaggio comprensibile e preciso.
Senonché, le 221 pagine di cui è composto, bibliografia esclusa, analizzano, rimescolano, rinnovano e creano così tanti concetti e visioni da richiedere, metaforicamente, un carroponte per trasportarlo.

È suddiviso in quattro parti, un’introduzione e dieci “lezioni”, concepite in risposta «alle domande scaturite dalle tre lezioni tenute al California Insitute of Integral Studies nell’inverno del 2015, aventi come soggetto il significato del corpo e le politiche del corpo all’interno del movimento femminista degli anni Settanta e nel mio lavoro2

Per evitare di perdere la tramontana, provo a esaminare un capitolo alla volta con due puntualizzazioni: nel saggio Federici evita di scrivere espressamente “femminismo intersezionale” ma lo pratica durante tutta la narrazione.
Inoltre mostra la portata, quasi in contrasto, sia dei concetti di autodeterminazione e sia dei concetti di collettività nella relizzazione quotidiana dei femminismi.

La lettura dell’introduzione è fondamentale. Fornisce una bussola per orientarsi lungo la direzione impressa da Federici e per ritrovarla ogni inevitabile volta in cui le parole ci portano a esplorare ulteriori concetti distanti dal sentiero originale.
Tuttavia è possibile allontanarsi già nell’introduzione, per esempio quando l’autrice precisa lo scopo della seconda parte.
Mostra il potere della medicina e dei medici asservito al capitale soprattutto nelle pratiche della trasformazione o creazione delle persone3.
La filosofa evita di criticare le pratiche in sé, piuttosto mette in guardia rispetto alle insidie celate nella dipendenza da esse.
La mia riflessione sul parallelismo dell’avvertimento di Federici con la sottomissione degl
3 uman3 occidentali all’industria agro-alimentare è stata sin troppo semplice e istantanea.
Di questo argomento - che sincronicità - ho scritto nell’editoriale della NL di aprile di Solarpunk Italia a dimostrazione che i femminismi intersecano e creano nodi con qualsiasi tematica, a partire dall’umano fino ad arrivare all’altro non-umano, dimostrandosi fondamentali sia nella teorizzazione sia nella pratica di tutti gli attivismi volti a sovvertire l’attuale sistema tossico.

«Il corpo, il capitalismo e la riproduzione della forza lavoro» è il primo capitolo e pone le fondamenta alla disamina dell’autrice delle questioni di classe, genere, razza, specismo, ageismo, abilismo e ambientalismo.
Uhao è l’appunto che ho scritto a p. 23 dove Federici scrive: «abbiamo la necessità di una storia del capitalismo scritta dal punto di vista del mondo animale, oltre che da quello delle terre, dei mari e delle foreste. »
Preciso l’urgenza NON di prestare una voce a chi non la possiede - e sarebbe già un successo questa azione - bensì porci in ascolto e osservazione, aprendo le orecchie e gli occhi di mente e cuore, della narrazione che di sé fanno gli animali non-umani - liberi e schiavizzati - , il suolo, l’acqua, l’aria, i vegetali.
Federici ci esorta a osservare tutti i punti di vista per renderci finalmente conto dell’entità della distruzione prodotta dal capitalismo nei riguardi dell’Olobioma di cui siamo parte.
Inoltre mostra tutte le esperienze delle persone umane e non-umane tramutate in oggetti per la riproduzione del capitale.
A tal riguardo è emblematica l’affermazione di Thomas Jefferson, presidente degli Stati Uniti: «Penso che porti più profitto una donna che partorisce ogni due anni (all’interno delle piantagioni schiaviste. N.d.R.) piuttosto che il miglior uomo di una fattoria. Ciò che lei produce va ad aggiungersi al capitale, mentre il lavoro dell’altro scompare nel comsumo.5»
Nel primo capitolo l’autrice afferma le sue convinzioni dopodiché procede ad analizzarle, un poco alla volta nei successivi.
«Le politiche del corpo nel contesto della rivolta femminista» e «Il corpo nell’odierna crisi della riproduzione» sono il secondo e terzo capitolo e compongono la prima parte.
Nel secondo capitolo Federici, in linea con la sua formazione marxista sebbene decostruita e criticata con vigore, procede all’analisi degli sfruttamenti patiti dalle donne inserendoli nella teorizzazione che ha posto le fondamenta per gli attivismi femministi. Quindi nella produzione industriale come macchine da lavoro proficue soprattutto per la minore retribuzione salariale; nella produzione domestica in quanto fonte di cura e di sostegno4 completamente gratuiti; nella riproduzione della materia prima organica in forma di nuovi umani da perpetrare nello sfruttamento, anche nell’attuale condizione di GPA.
«Era una rivolta contro la supposizione che il meglio che potessimo aspettarci dalla vita fosse rimanere in casa a servire da schiave sessuali per gli uomini come produttrici di lavoratori e soldati per lo Stato6
«Dunque la lotta per destabilizzare l’identità che ci viene assegnata non può essere separata dalla lotta per cambiare le condizioni storico-sociali delle nostre vite, soprattutto quelle alla base delle gerarchie sociali e delle disuguaglianze. Spero che i movimenti trans e intersessuali imparino dagli errori del passato: spero capiscano che non possiamo lottare per l’autodeterminazione senza cambiare il modo in cui lavoriamo, come impieghiamo la ricchezza che produciamo e in che modo ne abbiamo accesso7
Nel terzo capitolo Federici identifica e mostra l’antagonista non solo rispetto alle condizioni di vita femminili bensì rispetto a tutti gli abusi, compresi quelli ambientali.
Inoltre precisa l’origine principale delle oppressioni e le conseguenze letali della sua strutturazione nelle pratiche sistemiche di vessazione.
Infine imprime una spinta energica verso la ribellione al sistema mostrando anche la rilevanza di un lessico costruttivo e propositivo nella narrazione del conflitto8.

«Questa visione  dell’universo come un qualcosa di vivo, dove tutto è interconnesso, dona potere alla nostra lotta. È un antidoto contro la visione cinica dove non ha alcun senso combattere per un mondo migliore perché è troppo tardi, le cose sono andate troppo oltre, non dobbiamo avvicinarci troppo agli altri perché non dobbiamo fidarci di loro, dobbiamo pensare prima a noi stessi.9»

Cioè il contrario del dividi et impera, dispositivo di potere millenario a cui si sono aggiunte, in modo del tutto inatteso e provvidenziale, le conseguenze del COVID19 che hanno reso le persone delle monadi all’interno della società.

Si arriva alla seconda parte composta dal quarto capitolo: «Sul corpo, il genere, la performatività»; il quinto: «Ricreare il corpo, ricreare il mondo?»; il sesto: «La maternità surrogata: donare vita o maternità negata?»
Nel quarto capitolo Federici disintegra e scompagina il concetto di performatività riflettendo su alcuni concetti di costruzione della femminilità mutuati da De Beauvoir, Butler e Haraway, di nuovo in un’ottica di individuazione dell’antagonista e di svelamento di esperienze di ribellione.
«Vedere le identità sociali come unilateralmente costruite, ignorando la nostra capacità di cambiarle, di trasformare etichette intese a svilirci in motivo di orgoglio, significa vedere il potere solo dalla parte del padrone. […] Se quello di donna non è un concetto biologico, se è un costrutto sociale, allora la domanda da porci è: cosa rappresenta e chi sono gli attori che prendono parte alla sua formazione? Chi ha il potere di definire quello che significa essere donna?10»

Nel quinto capitolo Federici riflette sul corpo come oggetto, su cui i «regimi di potere hanno impresso le loro prescrizioni11», all’interno dei tentativi di miglioramento umano dell’eugenetica  e del potenziamento biologico, nelle visioni cyborg, perseguiti dalla chirurgia estetica.
«Per concludere, il nostro rapporto con il fare e rifare il corpo - che sia nel trattamento delle malattie, nel rimodellamento estetico o in rifacimenti più strutturali - dipende da un’istituzione guidata da principi commerciali e governativi.12»
Dove il secondo principio dovrebbe, in linea del tutto proclamata ma non sempre applicata, arginare le smanie economiche del primo.
Nel sesto capitolo Federici riflette sul punto di vista delle creature nate dalla maternità surrogata, sui loro diritti e sulla complessa questione della giurisdizione da applicare a tutt3 gl3 attor3 coinvolt3 nella GPA.
Poiché l’argomento è complesso, articolato ed emotivamente foriero di conflitti, non aggiungo citazioni che potrebbero, estrapolate dal contesto, generare fraintendimenti e proseguo verso la terza e ultima parte composta da: settimo capitolo «Con la filosofia, la psicologia e il terrore»; ottavo capitolo «Origine e sviluppo del lavoro sessuale negli Stati Uniti e in Inghilterra»; nono capitolo «Mormoni nello spazio rivisitato».

Nella terza parte, Federici mette a nudo gli ingranaggi del meccanismo di trasformazione delle persone biologiche in persone meccaniche e in consumatori sistemici al fine di riprodurre in continuazione il capitale. Per farlo, parte dal 1500 e risale lungo il flusso del tempo sino ad arrivare alla catena di montaggio.
La snaturazione delle persone e gli effetti deleteri su corpo e psiche ha imposto l’assoggettamento al lavoro con l’ausilio della psicologia e della filosofia, per rendere nutriente e digeribile un apparato persecutorio che in realtà è nocivo e vomitevole.
«La dimensione di questo rifiuto (di diventare persona meccanica. N.d.R.) si può misurare dalla schiera di forze impiegate per contrastarlo. […] L’istituzionalizzazione del precariato, per esempio, ha intensificato l’ansia di sopravvivenza oltre ad aver creato lavoratori spersonalizzati, adattabili, pronti a cambiare lavoro in qualsiasi momento.12»
«Le fobie e l’ansia causate dall’incertezza della sopravvivenza sono solo un aspetto del terrore oggigiorno strategicamente impiegato per soffocare le rivolte contro la macchina del lavoro mondiale.13»
Con l’ottavo capitolo, Federici raggiunge l’apoteosi: dura, chirurgica, non fa sconti né abbuoni a nessuno e continua, così come ha fatto durante tutto il saggio, a nominare capitani d’impresa, baroni della medicina e psichiatria, filosofi di iperuranica fama e un nugolo di altri tromboni.
Saltano tutte le teste, le sentiamo rotolare lungo i corridoi della storia resi vuoti di umanità e osceni per il potere tramite l’opera distruttiva svolta dai privilegiati di tutte le epoche.
È impossibile riportare una citazione, ogni riga è l’implementazione concettuale della precedente in una progressione esponenziale di valore.
Tuttavia mi permetto di suggerire, prima o dopo la lettura dell’ottavo capitolo, di leggere un’antologia idonea a rivelare in modo letterario il contesto sociale, territoriale e temporale da cui la filosofa ha fatto scaturire il capitolo.
Si tratta di Le Imperfette e contiene perle, colte e ricercate, da mescolare con le speculazioni di Federici14.
Nel nono e ultimo capitolo della terza parte «Mormoni nello spazio rivisitato», Federici chiude con considerazioni high tech che ci portano nell’infinitamente grande dello spazio siderale e nell’infinitamente astratto della disincarnazione corporea.

Il decimo capitolo «Elogio al corpo danzante» e la postfazione «Sulla militanza della gioia» concedono una divagazione speranzosa liminale alla narrazione letteraria.
Dopo nove capitoli di una - benevola - pesantezza oggettiva, l’autrice continua a volare ma senza più zavorre scientificamente normate.
Lo fa addentrandosi in territori al confine con la magia e con la capacità di stupore, sovversione e speranza che essa riesce a mutuare negli smottamenti umani di rovesciamento politico.
Federici, nella sua ascesa conclusiva, risulta efficace poiché rende evidente cosa sia in realtà la magia, cioè la perdita irreversibile di saperi ancestrali unita alla mancanza di immaginazione verso saperi futuri ancora da scoprire.
D’altro canto non è forse vero che il sonno della ragione speranza genera mostri?

A presto

Romina Braggion 


Silvia Federici (Parma, 1942) è una sociologa, filosofa e attivista italiana naturalizzata statunitense, legata al marxismo femminista ed operaistaLavora nel campo del femminismo e degli studi di genere15.

Note

  1. Italo Calvino, Il Giorno, articolo, 1965
  2. Oltre la periferia della pelle, p. 8
  3. Ove possibile, quindi senza snaturare la disquisizione di Federici e solo per le mie riflessioni, utilizzo il termine persona anziché corpo. Lo preferisco poiché riconduce a un concetto di insieme politico, sociale e biologico inscindibile. Noi siamo anche il nostro corpo.
    Il vocabolo corpo è servito a contrassegnare l’oggettificazione femminile ma ritengo che oggi sia necessario proporre anche un’alternativa lessicale positiva e propositiva quando il contesto lo permette.
  4. Si legga il saggio «Il nemico principale» di Christine Delphy nel quale l’autrice dedica ampio spazio al lavoro domestico, mascherato da amorevole unione coniugale, come primaria fonte di oppressione.
  5. Ivi pp. 29-30
  6. Ivi p. 47
  7. Ivi pp. 59-60
  8. Un’urgenza alla quale lavoriamo, come collettivo Solarpunk Italia, nell’ambito di una letteratura fantastica speculativa ma propositiva, speranzosa ma non ingenua.
  9. Ivi p. 73
  10. Ivi p.89
  11. Ivi p. 97
  12. Ivi p. 147
  13. Ivi p. 148
  14. Le Imperfette. Storie di donne nell’Inghilterra vittoriana e post vittoriana. A cura di e tradotto da Emanuela Chiriacò. Pubblicato nel settembre 2020 da Primiceri Editore
  15. Fonte Wikipedia


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