Sono fame, romanzo di Natalia Guerrieri

Recensione del nuovo romanzo di Natalia Guerrieri. 
Dopo "Non muoiono le api", pubblicato da Moscabianca Edizioni, l'autrice firma un'opera riuscitissima: Sono fame, pubblicata da Pidgin Edizioni.

Archivio personale: Melanzane imam, ricetta tradizionale mediterranea.
Pietanza sana, gustosa, ricca di nutrienti e di saperi antichi.

Trama, (dal sito Pidgin): "nella capitale tentacolareinsaziabile catalizzatrice delle logiche della prevaricazione, le rondini schizzano da una zona all’altra per portare ogni genere di cibo ai clienti che aspettano affamati dietro porte socchiuse. Chiara è una di loro: le sue giornate sono scandite da una chat sempre attiva attraverso cui ogni suo gesto viene monitorato, le sue ali sono braccia smagrite che la portano in appartamenti asfittici, loculi semibui, esponendola a situazioni paradossali e a tratti surreali. In attesa di un impiego migliore, fra rapporti incompiuti, simbiosi malsane ed echi del suo passato, si piega a uno sfruttamento continuo della sua psiche e del suo corpo, finché alcune rondini non iniziano a scomparire, divorate dalla famelica città. Attraverso una scrittura tagliente e immagini grottesche, Sono fame fa a pezzi la realtà che conosciamo per ripresentarla con un aspetto inconsueto e straniante."


Si tratta di un'allegoria potente che mette in scena la vita di Chiara, una lavoratrice di Envoyé. 

Il marchio è uno tra i tanti di servizi di consegna di cibo ultra-processato, alimenti senza storia e senza vita.
La capitale è una tra le tante città metropolitane, italiane o europee o mondiali.
La protagonista è una tra le tante persone inserite in un sistema capitalistico predatorio.
La predazione è uno tra i tanti meccanismi di oppressione: dopo avere sfruttato ogni possibile risorsa naturale, in giro per il mondo, il meccanismo ha individuato nella fisicità umana, in aumento esponenziale, un nuovo territorio di sopraffazione.

Chiara si muove in un ambiente polveroso, purulento, provvisorio.
Ogni sua azione rientra nel binarismo oppressore oppresso, persino la relazione familiare è malata e supina alla sudditanza.
Anche le sporadiche interazioni con i coinquilini, chiusi ognuno in personali abitudini escludenti, sono marcate dai confini sempre più ristretti di microscopici territori individuali.

Non esiste comunità, non esiste inclusione, non esiste affetto o amore. Ogni rapporto umano è trasformato in una piccola rotellina ben oliata di un sistema che mastica e digerisce tutto il buono e il bello.
Il prodotto finale è una massa putrida e irriconoscibile di pezzi di corpi senza sentimento, materia inanimata e triturabile anziché persone.

Chiara stessa è una protagonista tragica asservita, suo malgrado, a un capitalismo tossico mostrato nelle sue estreme conseguenze. 
La stanzettina in cui Chiara trascorre ore di riposo faticoso affaccia su un cavedio asfittico da cui la luce arriva per sbaglio filtrata dalle esperienze misere degli altri loculi, in cui abitano i cadaveri semoventi degli inquilini del palazzo.
I rapporti che intesse con altre persone sono macchinosi e velenosi, un'espropriazione di parti di corpo e di blocchi di anima in cambio di complicazioni che nulla hanno a che vedere con uno scorrere della vita sano e gradevole.
Ogni interazione tra esseri viventi, compreso il pesce rosso soprammobile dell'appartamentino in cui vive la protagonista o la pianta carnivora metafora di tutto il romanzo, diventa un pezzo di cosa senza speranza e senza futuro. 

"Sono fame" è il grido disperato di una moltitudine sofferente in attesa di redenzione o, più facilmente, agognante un atto violento che spazzi via dalla faccia della terra la sua vita tribolata.

Credo sbagli chi ha già classificato il romanzo in un genere piuttosto che in un altro.
"Sono fame" è letteratura necessaria, senza etichette, globale e universale. 

Consiglio la lettura e auspico un moto di disgusto al termine, non nei confronti della voce affilata dell'autrice e della sua opera, bensì nei riguardi dello schifo che mette in scena. E sarebbe anche l'ora.

A presto.

Romina Braggion



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