Recensione "Carne da macello" di Carol J. Adams

 “The sexual politics of meat: a feminism-vegetarian critical theory”, saggio dell’attivista americana Carol J. Adams, venne pubblicato per la prima volta nel 1990.


VandA Edizioni, con la curatela di Silvia Molé e la traduzione di Annalisa Zabonati e Matteo Andreozzi lo propone in Italia, nel 2020.



Si compone di 341 pagine e si sviluppa in:

·        Varie prefazioni alle diverse edizioni in lunga originale

·        Parte prima relativa a “Gli argomenti patriarcali della carne”, articolata nei seguenti capitoli: La politica sessuale della carne; Lo stupro degli animali, la macellazione delle donne; Violenza mascherata, voci soffocate; La parola fatta carne.

·        Parte seconda relativa a “Dal ventre di Zeus”, sviluppata nei capitoli: Testi scorporati, animali smembrati; Il mostro vegetariano di Frankenstein; Il femminismo, la Grande Guerra e il vegetarianismo moderno.

·        Parte terza relativa a “Mangia riso e abbi fede nelle donne”, suddivisa in La distorsione del corpo vegetariano; Per una teoria critica femminista-vegetariana.

·         Epilogo: Destabilizzare il consumo patriarcale

·         Ringraziamenti

·         Postfazione di Barbara Balsamo e Silvia Molé

 

Descrizione dal sito di VandA Edizioni:

"Qual è il filo rosso, l’assurda interazione tra la radicata misoginia culturale della società contemporanea e la sua ossessione per la carne e la mascolinità?

Questo libro, pubblicato per la prima volta negli USA nel 1990, esplora con raro acume e sottile intelligenza la relazione tra i valori patriarcali e il consumo di carne, intrecciando femminismo, veganismo e antispecismo.

Lo sfruttamento degli animali è per Adams una manifestazione della brutale cultura patriarcale. Il trattamento degli animali come oggetti è parallelo e associato all’oggettivazione nella società patriarcale di donne, neri e altre minoranze sfruttate. 

Dietro ogni pasto di carne c’è un’assenza: la morte dell’animale, il cui posto è occupato dalla carne.

Il concetto del “referente assente”, intorno a cui Adams costruisce la sua memorabile tesi, ha la funzione di mascherare la violenza insita nel mangiare carne per proteggere la coscienza del carnivoro e i suoi desideri separando l’idea del singolo animale dal suo essere fisico. Nella logica della società patriarcale, anche le donne funzionano come referenti assenti. Perché il processo di oggettivazione, frammentazione e consumo che consente l’oppressione degli animali, privandoli del linguaggio e della rappresentazione culturale, coincide con quello agito sulle donne.
L’uso persistente di immagini di violenza sessuale e di frammentazione e smembramento della natura e del corpo femminile (come in un macello) normalizza il consumo sessuale e autorizza l’abuso.
L’oggetto consumato viene vissuto senza una storia, senza una biografia, senza individualità.
Quindi lecitamente consumato e abusato."

   L’autrice ha impiegato circa quindici anni per giungere alla pubblicazione; il saggio non era mai pronto.
Ha raccolto molto materiale, di vario tipo e varia provenienza. Ha letto numerosi testi e si è lasciata attraversare e ispirare da concetti distanti tra loro in tempo e luogo.
Questo lo si comprende leggendo le citazioni, all’inizio e all’interno dei capitoli, sempre molto pertinenti e appropriate al contenuto.
Finalmente, durante un viaggio con tappa in Arkansas, giunge l’illuminazione. A p. 23 narra della scoperta del concetto di referente assente mentre stava leggendo il libro “Bearing the world” di Margaret Homans.

   È facile intuire come il saggio sia stato, e sarà, per molte persone un testo illuminante, così come è citato in una delle prefazioni.

In Carne da macello, con una  rara visione di insieme, Adams sviscera il concetto del referente assente e lo connette a una serie di aspetti relativi al femminismo e al veganismo.
Allo stesso tempo disarticola il corpus compatto del sistema patriarcale, ne svela tutti i meccanismi e le procedure messi in atto per la riproduzione del potere maschile sui corpi femminili e animali.

   Adams analizza il dispositivo della violenza, uno tra i vari affrontati.
Così lacera l’aura metafisica della brutalità maschile, altro filo conduttore del saggio, e la in-carna nelle pratiche quotidiane di s-oppressione patriarcale.
Ce ne dà un assaggio a p. 7: “Con l’antropornografia, la disuguaglianza delle specie trasmette la disuguaglianza di genere. Quella che sembra essere una caratteristica della vita è in realtà un costrutto unilaterale. Il punto di vista di tutta la cultura, ribadito attraverso la pubblicità, le illustrazioni dei giornali, la fusione tra pornografia e cultura popolare è in realtà solo un particolare punto di vista.
L’antropornografia fornisce agli uomini l’occasione per coalizzarsi pubblicamente sulla misoginia.
Gli uomini possono consumare in pubblico ciò che di solito è riservato, il che rende in apparenza divertente e innocuo il degrado e il consumo di immagini di donne e di carne, come se fosse “solo uno scherzo”.
Poiché le donne non sono di solito direttamente rappresentate, si ritiene non ci sia alcuna persona offesa, e quindi nessuno deve rendere conto di alcun danno. Tutti possono godere dell’umiliazione delle donne senza essere tuttavia mai disposti ad ammetterlo.”

   A dire il vero, Adams include una pletora di immagini tratte da pubblicità becere, tutte a tema creofago.

Associare parti anatomiche femminili, esibite in modo esplicito, a vegetali o animali è tutto l’opposto della non rappresentazione. Peraltro non è necessaria una così puerile metafora per oggettivare il corpo femminile. Il marketing misogino dà sfoggio di grande creatività nell’inserire donne in qualsiasi classe merceologica.
A tal proposito, su Facebook Italia esiste un gruppo incaricato proprio di segnalare le pubblicità disgustose di cui è gravato il genere femminile. Il gruppo si chiama “La pubblicità sessista offende tutti”.

Leggere le motivazioni dei pubblicitari o le scuse delle aziende per l’uso di tali annunci è davvero emblematico della situazione culturale del maschio italico.
È bene precisare la trasversalità dell’oggettivazione femminile più o meno zotica, così da scongiurare la levata di scudi #notallman: si parte dalle bracerie, si passa agli articoli di giornale soprattutto se l’argomento della cronaca riguarda femminicidi o presunte violazioni femminili del sistema, per arrivare alla critica artistica s-oppressiva.
La negazione dell’evidenza, il silenzio-assenso, l’adesione inconsapevole al privilegio sistemico sono parte del problema, tanto quanto l’opposizione diretta.

   L’oggettivazione, sia femminile che animale, attraverso il linguaggio testuale e le immagini è ben narrata nei capitoli terzo e quarto della prima parte.
Sono appassionanti, entusiasmanti, folgoranti.

Ecco i sottotitoli del terzo capitolo: Il linguaggio come maschera; False denominazioni; Oppressioni connesse; Pensare letteralmente; Voci soffocate; Nuova denominazione.

Di seguito i sottotitoli del quarto capitolo: Gli insegnamenti di Pitagora; La letteratura di protesta vegetariana; La parola vegetariana fatta carne; Conversazioni difficoltose; La storia della carne.

   Fin troppo facile è connettere questi capitoli con un libro altrettanto fondamentale: Vietato scrivere. Come sopprimere la scrittura delle donne.
I meccanismi individuati da Russ, applicabili a qualsiasi ambito della vita femminile, vengono messi in scena da Adams nell’esame della mascolinità creofaga.

Le pratiche del divieto individuate da Russ cioè malafede, negazione e contaminazione dell’agency, due pesi due misure, falsa categorizzazione, anomalia e isolamento, sono attuate, nel canone, dai critici misogini quando analizzano le opere proposte da attiviste femministe vegane antispeciste, e attivisti, elencate da Adams e raggruppate proprio nei sottotitoli.

   Carne da macello ha il potenziale di ordire la connessione tra i vari femminismi, così come grandi opere femministe hanno il pregio di unirsi con le altre.

Allo stesso tempo, per organizzare quel potenziale, l’autrice attinge ai saperi delle filosofe e attiviste femministe che l’hanno preceduta o che camminano al suo fianco, anche su sentieri diversi.
Così, il concetto di referente assente si trasforma in chiave universale atta a svelare altri dispositivi dello sfruttamento di soggetti differenti dal maschio occidentale bianco benestante, assiso sulla cima della piramide sociale, ecologica e alimentare, in quanto creofago.

Al termine della lettura del saggio di Adams, la riflessione maturata riguarda l’urgenza di affiancare a femminismo, veganismo e antispecismo, il tema dell’ambientalismo.

Infatti l’altro referente assente dall’agenda politica, economica, sociale è l’ambiente.
La predazione del suolo, l’inquinamento di aria e acqua, la distruzione di ecosistemi, l’estinzione di specie animali, il cambiamento climatico richiedono un’azione radicale e globale per limitare i danni già inferti alla biosfera.
Ma l'ambiente non entra come Soggetto nell’agenda politica mondiale. O meglio, il lessico, e di conseguenza il pensiero e azione, che lo rinominano appare travisato, edulcorato, ripulito dalla catastrofe e reimmesso irriconoscibile e depotenziato nel circuito del capitale per la creazione continua di plusvalore mortale.

L’ambiente è il referente assente al pari degli animali non umani.
A entrambi i gruppi è necessario riconoscere lo status di soggetto di diritto, così come richiesto da attivisti, scienziati, ricercatori, nella speranza di poterli salvaguardare dalla violenza e dalla distruzione.

   A questo punto vorrei inserire una riflessione conseguente alla connessione tra concetto di referente assente e ambiente. Si tratta di un discorso a latere, una puntualizzazione ultraspecialistica se paragonata al discorso vasto e generale ma emblematica di una consuetudine nutritiva che si ripropone nella stessa sostanza ma con maschere diverse. 
Forse si potrà identificare uno dei vari sintomi del rapporto distorto che l'uomo impone al resto della biosfera. 

L’alimentazione umana è indubbiamente un grande tema legato in modo indissolubile alla gestione ambientale oculata, sovradeterminato da usi, consuetudini e tradizioni oltre che dal posizionamento geografico.
I goal due e tre dei 17 obiettivi dell’agenda 2030 prendono l'alimentazione in diretto esame. Educare alle competenze nutrizionali rientra nei due goal: prima l'industria e gli interessi monopolistici e privati distruggono il sapere - vedere campagne di lattazione artificiale nei paesi del sud del mondo - e poi devono intervenire strutture internazionali, con soldi pubblici quindi dei contribuenti, per ristabilire un minimo di decoro sociale. Stendiamo un velo pietoso. 

Continuiamo con la riflessione. Nel saggio di Adams si è pone l’accento sull’oggettivazione di donne e animali, trasformati in carne da macello e esposti sui banchi di vendita, reale e virtuale, con nuovi lemmi fantasiosi. 

   I cibi ultra-processati compresi quelli vegetariani/vegani, e tutta la filiera umana tesa nello sforzo della loro produzione, contribuiscono alla reificazione del concetto di referente assente.



La nutrizione viene scorporata dalla sua semplice essenza fisica e meccanica e avviata in una direzione di trasformazione estrema sulla quale il marketing dei falsi bisogni e la chimica industriale intervengono in maniera massiccia.

Il vegetarianismo e il veganismo sono una necessità etico/sociale a cui il key account manager, e tutta la squadra di markettari, risponde nel modo più produttivo possibile, ossia con la fornitura di linee alimentari tossiche millantate come innovative e sostenibili.

Burger, polpette, spezzatino, cotolette recuperano gli stereotipi standard e li reimmettono nel canale del vegan/sostenibile/ambientale con una efficace operazione di greenwashing: ricette della nonna, cena in famiglia - pure se sono rientrati tutti trafelati un minuto prima di mettersi a tavola- , tradizionale pranzo della domenica, cucina povera, cucina di recupero, confort food.
Peraltro lo scippo delle storiche ricette "senza": spaghetti alle vongole fujute, osei scapà, vermicelli col pesce a mmare per esempio, depreda immaginazione e ingegno e consegna un'entropico vuoto di competenze culinarie. 

Ora due domande sorgono spontanee.

Perché si abdica al sapere secolare relativo alla preparazione di un’alimentazione semplice, sana e sostenibile per porre in pratica l’atto di ingurgitare misture decostruite e ricostruite dall’industria alimentare?

I cibi ultra-processati non sono sani poiché sommano gli effetti deleteri dei vari additivi, assenti nel cibo fresco, sfuso, cucinato con semplicità e abituano l'apparato digerente a gusti e consistenze aliene.
Non sono sostenibili poiché impongono complesse lavorazioni meccaniche, fisiche e chimiche a un nutrito gruppo di ingredienti. Sostituiscono un sapere umano antico e comunitario in una procedura robotizzata e privatizzata.

Infine, quale bisogno inconscio ha scovato il marketing per essere riuscito a imporre nuovamente il referente assente animale sotto mentite spoglie?

La creofagia è così interiorizzata da rendere pedina inconsapevole dell’apparato dominante proprio chi vuole allontanarsene.
Il risultato è l’adesione a un nuovo paradigma di nutrizione, a un referente assente mutante che foraggia comunque il capitale patriarcale.

   Per concludere, “Carne da macello” è un saggio pilastro del femminismo, del veganismo e dell'antispecismo.
Ha innescato numerose altre riflessioni da elaborare in maniera esaustiva. Purtroppo il mio tempo disponibile per la scrittura della recensione è terminato.

Auspico che filosofe, ricercatrici, storiche e divulgatrici compiano il passo successivo e leghino l'eredità di Adams alla questione ambientale.

Faccio mio il ringraziamento di VandA a Silvia Molè per il sostegno offerto alla pubblicazione e promozione del libro.


A presto

Romina Braggion

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